L'Islam ieri e oggi
«Tutti amano la democrazia, specialmente se li riguarda personalmente, ma l'Islam non è l'opposto della democrazia; rappresenta semplicemente un universo di riferimento completamente diverso. All'interno di quell'universo può esistere la democrazia, la tirannia, e tutto quello che c'è nel mezzo».
Tamim Ansary, scrittore afghano |
Sommario
- L'Arabia preislamica
- La predicazione di Maometto
- La prima espansione dell'Islam
- La conquista della Spagna
- L'avanzata nel Mediterraneo
- Dagli Abbasidi agli Ottomani
- I Paesi islamici oggi
- L'Islam e la condizione femminile
- Islam e Occidente
- Il conflitto arabo-israeliano
Per approfondire: »» STORIA DEL POPOLO EBRAICO
»» LE RELIGIONI DEL MONDO
1. L'Arabia preislamica
La Penisola Arabica prima della predicazione di Maometto era un'ampia regione prevalentemente desertica, tradizionalmente divisa nell'area più interna compresa tra Mar Morto e Mesopotamia (chiamata Arabia deserta) e quella più a sud che si affaccia sull'Oceano Indiano (più fertile e per questo definita Arabia Felix dai Romani). Le principali città, tra cui La Mecca, Yathrib (la futura Medina), San'a, Aden sorgevano nei pressi della costa ed erano abitate da genti sedentarie, che praticavano l'allevamento e un'agricoltura piuttosto evoluta, con un complesso sistema di irrigazione. Le zone desertiche erano solcate da piste carovaniere ed erano percorse da popoli nomadi (i beduini, "veri Arabi") che vivevano di allevamento e si davano saltuariamente alle scorrerie, organizzati in una società tribale dalla struttura molto semplice che riconosceva l'autorità di capi militari (gli sceicchi). L'intera regione aveva rapporti discontinui con le potenze politiche circostanti, incluso l'Impero Romano che costituì la provincia dell'Arabia Petrea nella zona circostante la città di Petra ma ebbe una presenza molto marginale nella Penisola; scambi commerciali avvenivano con le coste dell'Africa orientale e soprattutto con la regione siro-palestinese, da cui provennero le maggiori influenze culturali (gli Arabi del resto parlavano una lingua semitica, affine all'Ebraico e al Fenicio).
I popoli arabici in origine erano politeisti e tra i molti dei che veneravano vi erano elementi naturali, come pietre e alberi, divinità pagane come il Sole e Venere, Yahweh (il Dio degli Ebrei, una delle tante influenze culturali provenienti dall'area Palestinese) e lo stesso Allah, una sorta di Dio supremo adorato ben prima della predicazione di Maometto. I beduini del deserto credevano anche nell'esistenza dei jinn, specie di demoni che intervenivano nelle vicende umane ed erano per questo molto temuti. Assai diffusa era l'idolatria e un centro religioso molto importante era la città della Mecca, tappa obbligata delle carovane che attraversavano l'Arabia da nord a sud e crocevia di uomini e merci di ogni tipo: lì sorgeva la Ka'ba, un edificio nero di forma cubica dove era custodita la pietra nera (probabilmente un frammento di meteorite, che si credeva fosse stato consegnato dall'arcangelo Gabriele ad Abramo, costruttore del tempio) e molti altri oggetti sacri, meta già nell'antichità di frequenti pellegrinaggi. Il culto degli oggetti sacri garantiva un'indubbia fonte di guadagno all'aristocrazia che governava la città ed è per questo che essa sarebbe stata decisamente ostile a Maometto, a sua volta contrario a ogni forma di idolatria.
2. La predicazione di Maometto
Questo quadro religioso venne sconvolto dalla predicazione di Muhammad (570 ca. - 632), il fondatore dell'Islam originario della città della Mecca il cui nome cui nome latinizzato è appunto Maometto: secondo la tradizione egli ricevette la visita dell'aracangelo Gabriele nella famosa "notte del potere" (610), durante la quale gli rivelò di essere un inviato dell'unico vero Dio Allah e gli affidò il compito di diffondere la sua parola fra le genti. Maometto iniziò la predicazione circa tre anni dopo e tra i contenuti della nuova fede vi era anzitutto l'atto di totale sottomissione a Dio ("Islam"), la generosità e l'aiuto ai poveri, la lotta contro ogni forma di idolatria, la speranza in un giudizio finale che avrebbe punito i malvagi e premiato la comunità dei "sottomessi", i musulmani ("muslim"). La parola del profeta incontrò subito il favore dei poveri e degli schiavi, mentre ovviamente suscitò l'opposizione dell'aristocrazia locale che traeva vantaggio dai pellegrinaggi alla Mecca e che quindi iniziò a perseguitare ferocemente Maometto e i suoi numerosi seguaci, costringendolo nel 622 a fuggire a Yathrib, successivamente ribattezzata Medina ("città del profeta"). Questa fuga venne chiamata "ègira" e la sua data segna l'inizio dell'era musulmana, nonché del calendario islamico tutt'oggi seguito dagli adepti di questa religione.
Una pagina del Corano, il libro sacro dell'Islam scritto intorno al 650 d.C. da un segretario del profeta sulla base dei suoi insegnamenti. La lingua araba utilizza un alfabeto di 29 caratteri tutti minuscoli e procede da destra verso sinistra, quindi all'inverso rispetto alla maggior parte delle lingue indoeuropee. È una scrittura molto curata e sofisticata (detta "calligrafia") e la lingua colta, detta "arabo classico", è ancor oggi una sorta di lingua internazionale che consente a tutti gli Arabi di comunicare, anche se originari di luoghi molto lontani. |
Inizialmente furono intensi i rapporti con la religione ebraica, già presente come influenza culturale (gli Arabi credevano nell'esistenza degli angeli e di alcuni profeti biblici, incluso lo stesso Gesù) e in particolare a Medina, dove viveva una nutrita comunità giudaica: la preghiera veniva recitata in direzione di Gerusalemme, considerata città santa, si osservavano digiuni rituali e divieti alimentari, vigeva il divieto assoluto di rappresentare visivamente Dio, e così via. Col passare del tempo, tuttavia, le differenze tra le due religioni si accentuarono e gli Ebrei di Medina vennero accusati di complottare coi nemici dell'Islam, per poi essere espulsi dalla città e perseguitati, anche se negli anni a venire tra le due fedi non vi furono rapporti particolarmente ostili. La riflessione di Maometto intorno alla natura della fede si tradusse poi in alcuni principi fondamentali, a cominciare dai cosiddetti cinque pilastri che costituiscono le basi dell'intera religione islamica:
- la professione di fede ("Non vi è altro Dio all'infuori di Allah e Maometto è il suo profeta");
- l'obbligo della preghiera, da recitare cinque volte al giorno in direzione della Mecca;
- l'elemosina ai poveri, nella misura di un decimo del proprio reddito;
- il digiuno rituale nel 9° mese del calendario islamico, ovvero il Ramadan;
- il pellegrinaggio alla Mecca, da compiersi almeno una volta nella vita.
L'intero insegnamento del profeta è racchiuso nel Corano, il libro sacro dell'Islam che non fu scritto da Maometto ma da un suo collaboratore dopo la sua morte, intorno al 650: è diviso in 114 sure (capitoli) e versetti di varia lunghezza, in cui Maometto parla in prima persona e spazia su temi assai vari, anche se nell'ultima parte prevalgono i precetti e le norme cui si deve attenere il buon musulmano. Tra questi, come detto, vi sono precisi divieti alimentari (affini all'Ebraismo, tra cui ad esempio il divieto di non mangiare carne di maiale), inclusa la proibizione di bere alcolici, secondo alcuni dovuta al fatto che Maometto udì un giorno alcuni musulmani ubriachi storpiare i suoi insegnamenti. Il giorno festivo per l'Islam è il venerdì e il luogo di culto è la moschea, dove avviene la preghiera collettiva sotto la guida di un imam, non un sacerdote ma uno studioso della legge coranica (fra gli islamici non esiste un vero e proprio clero, con l'eccezione dei musulmani di fede sciita). Tra gli altri insegnamenti del profeta primeggia inoltre, come una sorta di sesto pilastro, il concetto di Gihâd, ovvero lo "sforzo continuo per la fede" che consiste nella conversione dei non islamici e che viene spesso tradotto come "guerra santa" (questo significato è stato assunto soprattutto negli anni recenti, in seno ad alcuni gruppi islamici estremisti).
Maometto che riceve la visita dell'arcangelo Gabriele, in una miniatura iranica del XIV sec. La figura del profeta riveste un'importanza assoluta nella religione islamica, anche se essa è chiara nell'attribuirgli natura esclusivamente umana. Il nome italianizzato deriva probabilmente dalla forma tarda Macometto, a sua volta una storpiatura del nome originario (Muhammad, "il Lodato"), anche se nel Medioevo esso veniva spesso interpretato come "Malcommetto", in senso spregiativo. |
A Medina Maometto e i suoi seguaci si riorganizzarono e allestirono una potente offensiva militare che nel 630 consentì al profeta dell'Islam di rientrare trionfalmente alla Mecca, dopo avere sconfitto la resistenza dei suoi nemici. La Mecca divenne la città santa dell'Islam e tutti gli idoli della Ka'ba vennero distrutti, ad eccezione della pietra nera che ancor oggi è oggetto di profonda venerazione da parte dei musulmani; la città divenne il centro di irradiazione della nuova religione, che aveva nel frattempo incontrato il favore soprattutto delle tribù beduiniche del deserto, unitesi alla lotta del profeta contro gli "idolatri". Alla morte di Maometto (tradizionalmente datata 8 giugno 632) l'intera Penisola Arabica era ormai islamizzata e si apriva il problema della successione alla guida del nuovo popolo, non ancora organizzato in una vera forma di Stato centralizzato, mentre l'Islam era pronto a espandersi militarmente anche fuori della regione in cui era sorto.
3. La prima espansione dell'Islam
A Maometto succedettero alcuni califfi (dall'arabo khalifa, "sostituto") scelti tra i "compagni della fede", sotto la cui guida l'Islam iniziò una rapida espansione militare nelle regioni circostanti la Penisola Arabica che portò a una serie di importanti conquiste, destinate a cambiare per sempre il volto politico-religioso dell'intero Medio Oriente. Le ragioni di questo espansionismo vanno ricercate anzitutto nella necessità di trovare nuove terre e mercati fuori dell'Arabia non molto ricca di risorse, poi nella volontà di convertire al nuovo culto il maggior numero possibile di adepti, in base al principio religioso della Gihâd (guerra santa, o espansione della fede). Il califfo Omar (634-644) strappò all'Impero Bizantino la Siria, la Palestina e l'Egitto, iniziando una penetrazione territoriale in Nordafrica; invase anche la Mesopotamia sottraendola ai Persiani, il cui Impero era ormai da tempo in decadenza. I Persiani vennero definitivamente sconfitti dal califfo Othman (644-656), il quale avanzò in Nordafrica sino a Tripoli (647) e assicurò agli Arabi il controllo di tutte le regioni mediorientali che si affacciavano sul Mediterraneo. La Palestina divenne "Terrasanta" per gli islamici come per gli Ebrei e i Cristiani, e la città di Gerusalemme passò sotto il controllo degli Arabi con il Santo Sepolcro e gli altri luoghi di culto, restando araba sino all'età contemporanea (tranne i brevi momenti in cui fu riconquistata dai Cristiani con le Crociate, come nel XII sec.).
La spinta espansionistica riprese con il califfato Omayyade (661-750), consolidatosi al potere dopo la lacerazione interna fra sunniti e sciiti seguìta all'azione di Alì: gli Omayyadi posero la capitale politica del loro dominio a Damasco, in Siria, e aggredirono anzitutto Costantinopoli, che però resistette e mantenne la propria indipendenza. I nuovi califfi completarono la conquista dell'Africa settentrionale (670), soprattutto grazie a una potente flotta costruita nei cantieri di Acri e Alessandria e dotata di equipaggi siriani e libanesi, quindi nel 711 invasero la Spagna dei Visigoti, minacciando direttamente gli Stati cristiani dell'Europa (su questo si veda oltre). L'offensiva proseguì verso Oriente, dove fu sottomesso l'Afghanistan (con le città di Bukhara e Samarcanda, importanti centri carovanieri lungo la Via della Seta) e si spinse sino alla valle dell'Indo, dove gli Arabi si scontrarono addirittura con l'Impero Cinese nella battaglia di Talas (751): i Cinesi furono battuti, ma ormai le truppe islamiche avevano esaurito la loro spinta propulsiva e l'invasione si arrestò alle soglie dell'Estremo Oriente. A metà dell'VIII sec. gli Arabi avevano costituito un immenso Impero, che andava dalla Penisola Iberica sino all'Asia Centrale e comprendeva tutti i musulmani facenti parte della "umma", la comunità dei credenti.
L'investitura di Alì, in un codice del XIV sec. Alì, cugino e genero di Maometto, si oppose all'elezione a califfo di Othman e lo fece assassinare nel suo palazzo a Medina, autoproclamandosi successore del profeta per diritto dinastico. Tale fatto creò una divisione in seno all'Islam tra i sostenitori di Alì, detti sciiti (da shi'a, "fazione") e i suoi oppositori, detti sunniti (dalla sunna, l'insieme delle tradizioni raccolte dai compagni di Maometto e corrispondenti all'interpretazione ortodossa dell'Islam). Accusato dell'omicidio di Othman, Alì fuggì coi i suoi seguaci in Iraq e qui venne a sua volta ucciso nel 661. Ancora oggi l'Islam appare diviso tra sciiti e sunniti e mentre questi ultimi propendono per una visione più moderata della loro fede, gli sciiti propongono un Islam più estremista, con un rigoroso rispetto della legge coranica e l'organizzazione di un vero e proprio clero (figure di primo piano sono gli imam sciiti, spesso considerati in Occidente degli agitatori politici). |
Gli Omayyadi diedero una solida struttura statale al dominio arabo e organizzarono in modo razionale i territori conquistati, in cui fu soprattutto messo in atto un efficiente sistema di riscossione fiscale: le terre sottomesse vennero sottoposte a un forte processo di islamizzazione, con la conversione alla fede musulmana di molti popoli (specie delle tribù berbere del Nordafrica) e il radicamento della lingua, degli usi e dei costumi tradizionali degli Arabi, cosicché ancora oggi Stati come la Siria, la Giordania, l'Egitto e tutto il Maghreb si definiscono Paesi arabi anche se dal punto di vista etnico i loro abitanti hanno una diversa origine. Gli Arabi non procedettero tuttavia alla conversione forzata dei popoli sottomessi, adottando anzi una politica religiosa piuttosto tollerante specie verso gli Ebrei, le cui comunità vennero rispettate e non sottoposte a persecuzioni: gli attriti tra Arabi ed Ebrei nasceranno molto più tardi, all'epoca in cui il sionismo inizierà a rivendicare il possesso della Palestina nel XIX sec., portando poi alla nascita del moderno Stato di Israele.
4. La conquista della Spagna
Come già detto, alla fine del VII sec. gli Arabi estesero il loro controllo sull'intero Nordafrica e nel 711 il governatore di Tangeri, Tariq ibn Ziyad, alla testa di un esercito improvvisato passò lo stretto di Gibilterra e penetrò nella Spagna dei Visigoti, iniziando una conquista che incontrò ben poca resistenza e venne completata nel giro di appena cinque anni, anche grazie all'appoggio di alcune popolazioni locali. Il regno dei Visigoti, già in crisi da diversi decenni, crollò di schianto sotto la pressione delle truppe arabe e sopravvisse solo un piccolo stato cristiano nella parte nordoccidentale del Paese, il futuro regno di León che sarebbe stata la base per la reconquista cristiana della Spagna. L'intera Penisola Iberica passò dunque sotto il dominio arabo e gli islamici se ne sarebbero andati solo nel 1492, quando re Ferdinando il Cattolico avrebbe espugnato l'ultima piazzaforte araba della Spagna, Granada.
Un'immagine della Rocca di Gibilterra, con il famoso faro. La località deve il nome al condottiero arabo che nel 711 varcò lo stretto per dare inizio all'invazione della Spagna visigotica, Tariq ibn Ziyad (Gibilterra deriva da Djebel Tariq, "la montagna di Tariq"). Sulla rocca sorge tuttora il Castello Moresco, antica fortezza araba che fu costruita all'indomani dell'invasione e che cadde nelle mani dei Cristiani solo nel tardo XV sec. Oggi il promontorio di Gibilterra è una dipendenza del governo britannico. |
Gli Arabi invasori furono in genere bene accolti dalla popolazioni romano-ispaniche che mal sopportavano la dominazione dei Visigoti, quindi stabilirono uno Stato piuttosto saldo grazie anche alla tolleranza religiosa verso gli abitanti sottomessi, in modo simile a quanto avveniva negli altri territori conquistati. Il centro del nuovo dominio fu posto nella città di Cordoba e qui nel 756 un Omayyade si proclamò emiro, sottraendosi al controllo del califfato Abbaside di Baghdad (si veda oltre). L'emirato di Cordoba si mantenne di fatto indipendente per circa due secoli, finché venne proclamato un califfato autonomo dopo un periodo di anarchia (929) che inaugurò un periodo di splendida civiltà per la Spagna musulmana, che lasciò tracce profonde nell'agricoltura, nell'arte e nell'architettura ma non cancellò l'identità linguistico-culturale delle popolazioni iberiche, che infatti svilupparono lingue neolatine (castigliano, catalano, portoghese) e restarono cristiane, nonostante la conversione all'Islam da parte dei cosiddetti "rinnegati". L'apice della potenza araba fu raggiunto intorno all'anno 1000, quando il generale al-Mansur invase il regno di León e occupò Barcellona, mentre nei secoli successivi la reconquista cristiana ricacciò gli Arabi nella parte meridionale del Paese, fino ad isolarli nella roccaforte di Granada.
L'interno dell'Alcazar di Siviglia (a sinistra), uno dei migliori esempi dell'architettura araba nella Penisola Iberica. Gli alcazar erano roccheforti costruite dai dominatori islamici, il cui nome è probabilmente una storpiatura del lat. castrum, "castello"; altri esempi famosi sono l'Alcazar di Toledo e quello di Segovia, divenuti in età successiva sedi dei re cristiani di Spagna. L'architettura islamica lasciò in Spagna anche molte moschee (la più famosa è quella di Cordoba) e l'Alhambra di Granada, il palazzo sede dell'ultimo governatore arabo del Paese (in basso). |
5. L'avanzata nel Mediterraneo
Nell'VIII sec. gli Arabi controllavano gran parte delle regioni che si affacciavano sul Mediterraneo ed avevano il dominio del mare grazie alla loro potentissima flotta, per cui era inevitabile una potente offensiva contro gli Stati cristiani dell'Europa meridionale. Il possesso della Spagna era una testa di ponte molto importante per una penetrazione in Occidente, anche se l'avanzata delle truppe arabe a nord dei Pirenei venne fermata dalla cavalleria dei Franchi di Carlo Martello nella celebre battaglia di Poitiers (732), che fu un sostanziale "pareggio" nonostante i Cristiani l'abbiano poi celebrata come una schiacciante vittoria. L'offensiva fu quindi scatenata sui mari, specie ad opera dei pirati Saraceni (le tribù nomadi del Sinai, dette in arabo sharqiyn) che agivano nell'ambito dell'emirato di Kairuan in Tunisia, governato dagli Aghlabiti e formalmente riconosciuto dal nuovo califfato Abbaside, che aveva posto la sua capitale a Baghdad.
Approfittando della debolezza dei Bizantini in Italia meridionale, i Saraceni nell'827 intrapresero la conquista della Sicilia in modo assai simile a quanto era avvenuto un secolo prima in Spagna, completando l'occupazione dell'isola intorno al 902. Il possesso della Sicilia era strategicamente importante, non solo per la ricchezza di risorse del territorio (l'isola era sempre stata il "granaio" del Mediterraneo occidentale), ma soprattutto per la sua posizione centrale, tanto che i Saraceni ne fecero una base potente da cui sferrare le loro rapide incursioni in buona parte del Mediterraneo. Con le loro navi occuparono Taranto e Bari, strappandole ai Bizantini, saccheggiarono Roma (846), si insediarono a Frassineto in Provenza (890) dove restarono per circa un secolo. Le loro tremende scorrerie seminarono il terrore in buona parte dell'Italia e della Francia meridionale, dove essi depredavano villaggi, fattorie, monasteri (compresi quelli di Farfa e Montecassino, nel Lazio) e facevano molti prigionieri che venivano venduti come schiavi. Per tutto il IX-X sec. furono una minaccia incombente per l'Europa cristiana, al pari dei "nuovi barbari" Ungari e Normanni che compivano analoghe razzie nelle regioni settentrionali.
Una miniatura del XIV sec. che raffigura l'assedio dei Saraceni a Messina. Gli Arabi posero il governo dell'isola a Palermo, che si arricchì di edifici islamici e divenne centro di splendida cultura, anche se molte di queste tracce architettoniche vennero in seguito cancellate dai Normanni e dagli Angioini. |
La dominazione araba in Sicilia durò molto meno di quella in Spagna, tuttavia lasciò tracce profonde nella cultura dell'isola dove i Saraceni posero il centro del loro potere a Palermo: questa diventò una città araba a tutti gli effetti, tanto che in una novella del Decameron (VIII, 10) vi viene descritto il bagno pubblico come se fosse un hammam, il bagno di una città dell'Egitto o del Maghreb. Gli Arabi introdussero in Sicilia nuove colture, come gli aranci, i mandarini, i limoni e migliorarono le tecniche di irrigazione, inoltre costruirono splendidi edifici che fondevano il gusto islamico con l'architettura e l'arte locale, anche se di molti di essi non resta traccia (i Cristiani ne distrussero un gran numero dopo la riconquista dell'isola). Neppure in Sicilia ci fu una vera islamizzazione della regione e gli Arabi verranno cacciati dall'isola e dell'Italia del Sud dall'arrivo dei Normanni, che tra XI-XII sec. crearono un regno indipendente.
6. Dagli Abbasidi agli Ottomani
Il califfato degli Omayyadi lasciò il posto a quello degli Abbasidi (750-1258), nato per iniziativa di un discendente di uno zio di Maometto (Abu al-Abbas) che si impadronì del potere grazie all'appoggio degli sciiti: la capitale del dominio arabo venne portata a Baghdad, città fondata nel 767 sulle sponde del fiume Tigri, in Iraq, e destinata a diventare il centro di una splendida e fiorente civiltà, celebrata nelle novelle delle Mille e una notte. Il cuore del califfato islamico si spostava dunque a Oriente, nell'area dominata dalla cultura persiana, e ciò comportò il progresso sociale dei musulmani di origine non araba che fino a quel momento erano stati relegati in una posizione defilata, a vantaggio dei "musulmani d'Arabia". L'Impero islamico si trasformò in una compagine multi-etnica e multi-culturale, destinato a raggiungere magnifici risultati nelle scienze (specie in astronomia e matematica), nella letteratura, nell'arte, nell'architettura, ma anche a indebolirsi politicamente e frammentarsi in tanti domini territoriali autonomi, che di fatto ne ridussero la potenza già nel IX-X sec.
Un disegno che raffigura l'antica città di Baghdad con la sua cinta muraria. Fondata sul Tigri nel 762-767 dagli Abbasidi, divenne un centro di grande splendore culturale specie durante il potere di Harun ar-Rashid (786-809), ricordato anche come il califfo protagonista della "cornice" delle Mille e una notte (il libro fu forse scritto in Egitto nel XV sec.).
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Le spinte autonomistiche riguardavano soprattutto i territori più periferici, specie quelli del Nordafrica dove si formarono nel IX sec. degli emirati autonomi come quello di Kairuan, in Tunisia, governato dagli Aghlabiti (gli Abbasidi lo riconobbero nell'801). Stessa sorte toccò all'emirato di Cordoba, in Spagna, resosi indipendente già nel 756 e poi divenuto califfato nel 929, mentre altri domini analoghi sorsero in Egitto (coi Tulunidi e poi coi Fatimiti), in Marocco (con gli Idrisiti) e nelle zone più orientali dell'Impero. In Egitto venne fondata dai Fatimiti sul delta del Nilo la città del Cairo (969), destinata a diventare come Baghdad una delle grandi metropoli del mondo arabo antico (oggi è ovviamente la capitale dell'Egitto moderno).
La frammentazione del califfato lo rese ovviamente molto più debole e ne accelerò la decadenza, favorita anche dalla penetrazione nell'Impero dei Turchi Selgiuchidi che furono accolti come mercenari e si impadronirono di fatto del potere tra X-XI sec. (erano popoli semi-nomadi delle steppe dell'Asia Centrale, convertitisi all'Islam sunnita). I califfi abbasidi conservarono nominalmente il potere, finché nel 1258 Baghdad venne assaltata ed espugnata dai Mongoli, che di fatto segnarono la fine anche formale del califfato. Gli altri stati islamici del Medio Oriente e del Nordafrica sopravvissero alla caduta degli Abbasidi e si mantennero indipendenti, almeno finché nel XIV sec. non si presenteranno sulla scena del mondo islamico i Turchi Ottomani, destinati a fondare un Impero esteso quanto quello arabo.
Gli Ottomani erano un popolo originario dell'Anatolia di fede islamica e prendevano il nome dal fondatore del loro dominio, Othman, che formò in Asia Minore un principato destinato a estendersi negli anni seguenti con una serie impressionante di conquiste: dopo la fine del sultanato dei Selgiuchidi, nel XIV sec. gli Ottomani penetrarono nei Balcani e nel 1453 conquistarono Costantinopoli, mettendo fine alla millenaria storia dell'Impero Romano d'Oriente (la città divenne la loro capitale). Seguì la conquista della Grecia (XV sec.), che sarebbe rimasta sotto il dominio turco sino al XIX sec., dell'Armenia, della Siria e dell'Egitto (XVI sec.), mentre continuò l'avanzata in Ungheria giungendo sino ad assediare Vienna (1529). Gli Ottomani si assicurarono il dominio anche di parte della Penisola Arabica e di Baghdad, ritolta ai Mongoli, mentre la loro offensiva nel Mediterraneo trovò l'opposizione della flotta veneziana e subì una dura sconfitta nella battaglia navale di Lepanto, nel 1571. Alla fine del XVI sec. l'Impero Ottomano controllava quasi tutti i territori già facenti parte del califfato abbaside (tranne la Spagna riconquistata dai Cristiani nel 1492), mentre la presenza turca si faceva sempre più minacciosa nei Balcani e arrivava alle porte del Sacro Romano Impero.
L'Impero Ottomano entrò in decadenza a partire dal XVI-XVII sec., soprattutto per l'incapacità di un serio progetto di riforme interne con cui arrestare il declino della società: perse gran parte dei territori europei a favore di Austria e Russia, mentre l'Egitto divenne indipendente in seguito alle campagne napoleoniche di inizio XIX sec.; altri territori arabi si staccarono per varie vicende (la Libia, ad esempio, fu conquistata dall'Italia con la spedizione coloniale del 1911-12) e il colpo finale arrivò nel 1918, dopo la sconfitta nella I Guerra Mondiale che ridusse di fatto l'Impero al possesso della sola Turchia. La rivoluzione laica del 1922-23 ad opera dei Giovani Turchi di Kemal Atatürk pose fine all'Impero e proclamò la Repubblica, dando inizio alla storia della Turchia moderna (essa è un paese islamico, anche se vi è una forte concezione dello Stato laico e la sfera religiosa non interferisce in quella politica, come avviene invece in altri Stati musulmani dell'area medio-orientale).
7. I Paesi islamici oggi
L'Islam ha dominato sul Nordafrica e sul Medio Oriente in modo ininterrotto per circa tredici secoli (prima con i califfati arabi e poi con l'Impero Ottomano), quindi è ovvio che l'eredità culturale, linguistica, religiosa e politica lasciata alle popolazioni di quell'area sia stata profonda e duratura, tanto che questi Paesi vengono detti "arabi" anche se sono abitati da popoli appartenenti ad altre etnie. Queste Nazioni sono naturalmente molto diverse l'una dall'altra per i differenti processi storici e sociali che hanno attraversato nel loro passato, tuttavia vi sono alcuni caratteri comuni quali ad esempio la lingua (l'arabo, che è parlato quasi ovunque sia pure con differenze regionali) e la religione (ovviamente l'Islam, anche se alcuni Paesi sono a maggioranza sunnita e altri sono sciiti, come l'Iran). Quanto alla lingua fanno eccezione la Turchia, dove si parla turco, e l'Iran, dove la lingua ufficiale deriva dall'antico persiano ed è indoeuropea; non bisogna scordare inoltre gli altri Paesi asiatici e africani dove l'Islam è penetrato più tardi (India, Indonesia, Nigeria...) in cui ovviamente si parlano lingue diverse, mentre la religione musulmana non è sempre maggioritaria ma convive spesso col Cristianesimo, l'Induismo e molti altri culti. Attualmente si stima che i musulmani in tutto il mondo siano circa 1,3 MLD, divisi in almeno tre continenti (Asia, Africa ed Europa, anche se minoranze islamiche sono presenti negli USA e nelle Americhe).
Tra i Paesi a maggioranza islamica ve ne sono alcuni molto poveri e con drammatici dati demografici, come l'Afghanistan sconvolto dalle guerre del periodo più recente, oppure come l'Egitto o la Giordania, che si possono considerare pienamente dei PVS (Paesi in via di sviluppo), mentre altri hanno un'economia decisamente più florida grazie soprattutto al petrolio (specie i Paesi della Penisola Arabica), anche se i proventi dell'industria petrolifera non vengono equamente redistribuiti fra la popolazione e vi sono molte sacche di povertà. Anche a livello sociale vi sono Paesi decisamente arretrati a causa di una rigorosa applicazione della legge coranica e in cui molte minoranze sono discriminate (Cristiani, oppositori politici, le donne...), fra cui quasi tutte le Nazioni del Maghreb, l'Egitto, i Paesi del Medio Oriente e dell'Arabia, mentre in altri vi sono spiragli per delle riforme avanzate in senso progressista, come alcuni Emirati Arabi e la Tunisia. Vi sono regimi politici dittatoriali in cui la religione è strettamente legata al potere (Iran, Arabia Saudita, l'Egitto dopo la rivolta del 2011...), mentre in alcuni Paesi c'è una concezione laica dello Stato e una forma embrionale di democrazia, come in Turchia e nell'Iraq attuale, sia pure con molti passi indietro e la frequente violazione dei diritti umani (lo stesso vale anche per la Libia, in cui la guerra civile del 2011 ha portato alla deposizione del dittatore Mu'ammar Gheddafi: »» BREVE STORIA DELLA LIBIA).
La popolazione di questi Paesi è in generale molto giovane e questo si spiega col fatto che quasi tutti si trovano nella fase A o all'inizio della fase B della transizione demografica, dunque registrano un incremento demografico ancora abbastanza forte o più modesto a seconda del livello di progresso sociale raggiunto. Ciò è evidenziato dai parametri demografici di alcuni dei principali Paesi islamici di Nordafrica e Medio Oriente, che presentano vistose differenze (la fonte è il CIA World Factbook e l'anno di riferimento è il 2012):
Popolazione totale T. nat. (‰) T. mort. (‰) T. mort. inf. (‰) T. crescita nat. (%) Quoz. fecondità Speranza di vita |
Turchia
79.749.000 17,58 6,01 23,07 1,2 2,1 73 |
Egitto
83.688.000 24,22 4,8 24,23 1,9 2,9 73 |
Arabia Saudita
26.534.000 19,19 3,32 15,61 1,6 2,3 74 |
Afghanistan
30.419.000 39,3 14,59 121,63 2,5 5,6 49 |
Analizzando i dati è evidente che la Turchia si presenta come un Paese quasi occidentale, con i tassi di natalità e mortalità entrambi bassi e un tasso di crescita naturale inferiore all'1,5%, tipico di un Paese nell'avanzata fase B della transizione demografica e prossimo ormai a entrare nella fase C; gli altri dati sono in linea con questa classificazione, il che si spiega col fatto che la Turchia ha un'economia avanzata e una società laica abbastanza progredita (fa eccezione solo il dato della mortalità infantile, superiore al 10‰ e dunque piuttosto alto). Il quoziente di fecondità è vicino a 2, valore non dissimile da quello di alcuni Paesi europei (ad es. la Francia). Situazione non dissimile per l'Arabia Saudita, il cui tasso di crescita è di poco superiore all'1,5% mentre il dato sulla mortalità infantile è più basso e indice di un maggiore sviluppo economico (anche questo Paese si trova in un'avanzata fase B della transizione).
L'Egitto è ancora invece un PVS e ha una crescita più marcata (1,9%), anche se la natalità sta diminuendo; il quoziente di fecondità è vicino a 3, dunque in linea con i Paesi più poveri, mentre il dato della mortalità infantile è simile a quello della Turchia (il Paese si trova a metà circa della fase B della transizione demografica).
Discorso totalmente diverso per l'Afghanistan, che non solo è un PVS ma presenta dei dati da Paese poverissimo: allarmante quello sulla mortalità infantile (121‰), dovuto alla drammatica situazione igienico-sanitaria della regione ma anche alla guerra che coinvolge i bambini oltre agli adulti; il tasso di crescita naturale è vicino al 3% e questo vuol dire che il Paese è ancora nella fase A della transizione demografica, fatto confermato anche dal quoziente di fecondità (superiore a 5, dato tipico di alcuni Paesi dell'Africa sub-sahariana). La bassissima speranza di vita alla nascita (49) si spiega con la guerra che da anni sconvolge il Paese, mentre è evidente che la società afghana è culturalmente arretrata e vi sopravvivono costumi tradizionali molto distanti dallo standard di vita occidentale (inclusa la pratica di mettere al mondo molti figli, spesso in condizioni precarie).
Tutto ciò è confermato anche dalle rispettive piramidi delle popolazioni, la cui forma è indicativa del grado di sviluppo socio-economico dei rispettivi Paesi (la fonte è ancora il CIA World Factbook 2012):
L'Egitto è ancora invece un PVS e ha una crescita più marcata (1,9%), anche se la natalità sta diminuendo; il quoziente di fecondità è vicino a 3, dunque in linea con i Paesi più poveri, mentre il dato della mortalità infantile è simile a quello della Turchia (il Paese si trova a metà circa della fase B della transizione demografica).
Discorso totalmente diverso per l'Afghanistan, che non solo è un PVS ma presenta dei dati da Paese poverissimo: allarmante quello sulla mortalità infantile (121‰), dovuto alla drammatica situazione igienico-sanitaria della regione ma anche alla guerra che coinvolge i bambini oltre agli adulti; il tasso di crescita naturale è vicino al 3% e questo vuol dire che il Paese è ancora nella fase A della transizione demografica, fatto confermato anche dal quoziente di fecondità (superiore a 5, dato tipico di alcuni Paesi dell'Africa sub-sahariana). La bassissima speranza di vita alla nascita (49) si spiega con la guerra che da anni sconvolge il Paese, mentre è evidente che la società afghana è culturalmente arretrata e vi sopravvivono costumi tradizionali molto distanti dallo standard di vita occidentale (inclusa la pratica di mettere al mondo molti figli, spesso in condizioni precarie).
Tutto ciò è confermato anche dalle rispettive piramidi delle popolazioni, la cui forma è indicativa del grado di sviluppo socio-economico dei rispettivi Paesi (la fonte è ancora il CIA World Factbook 2012):
La piramide della Turchia appare leggermente rigonfia al centro, dato in linea con i Paesi sviluppati in cui le fasce d'età più ampie sono proprio quelle intermedie della popolazione (la natalità è bassa, le famiglie non hanno molti figli e la popolazione tende a non essere molto giovane). Gli altri tre Paesi hanno invece un grafico dalla classica forma piramidale (o ad "albero di Natale", secondo il gergo dei demografi), come i PVS in cui le fasce d'età più estese sono quelle più giovani, poiché la natalità è alta, nascono molti bambini e la popolazione è generalmente giovane. Da osservare il fatto che la piramide dell'Arabia Saudita è sbilanciata a favore dei maschi nelle fasce d'età intermedie (20-40 anni), probabile effetto di una forte immigrazione maschile nel settore petrolifero nonché di una certa discriminazione contro le donne, in quanto le famiglie preferiscono avere figli maschi.
8. L'Islam e la condizione femminile
La condizione delle donne nella cultura islamica è uno degli aspetti più controversi e più aspramente dibattuti nell'ambito di questa religione, dal momento che la figura femminile è indubbiamente oggetto di varie discriminazioni in molti Paesi arabi e ciò costituisce un forte ostacolo anche per l'integrazione degli immigrati musulmani e delle loro famiglie nelle società occidentali che li accolgono. Lo status giuridico delle donne musulmane varia notevolmente da un Paese all'altro, anche se nella cosiddetta shari'a (la legge rivelata che si rifà al Corano e alla Sunna) si dice chiaramente che solo il maschio musulmano gode di piena capacità giuridica e la donna è relegata in una posizione subalterna, non potendo ad esempio fare il giudice o testimoniare nei processi per reati gravi. Da qui nasce l'interpretazione, generalmente accolta nella cultura islamica ma al tempo stesso dibattuta, dell'inferiorità della donna rispetto all'uomo, che trova espressione anche nella cosidetta poligamia (o per meglio dire, poliginia), ovvero la possibilità per l'uomo musulmano di avere fino a quattro mogli, mentre per la donna non è consentito avere più di un marito. Grande importanza è poi attribuita alla fedeltà coniugale, mentre l'adulterio femminile viene duramente condannato e si ammettono in alcuni casi pene severissime come la lapidazione. A ciò si aggiunge la proibizione in molti Paesi islamici per le donne di partecipare pienamente alla vita politica e al voto, anche se quest'ultimo punto trova una rigorosa applicazione solo nelle culture più integraliste e nelle cosiddette teocrazie, ovvero i regimi guidati da leader religiosi. Vediamo gli aspetti più delicati della condizione delle donne nei Paesi arabi, sottolineando le differenze, anche notevoli, tra le varie situazioni nel mondo.
Il velo islamico
È una delle questioni più controverse, dal momento che l'obbligo per le donne di indossare il velo non è propriamente espresso da nessuna delle sure del Corano, ma si deduce da alcuni passi che sono oggetto di varie interpretazioni da parte degli studiosi dell'Islam. In ogni caso, la pratica del velo è ampiamente diffusa in tutti i Paesi islamici e trova una diversa applicazione a seconda della diversa cultura e sensibilità religiosa, venendo tra l'altro sanzionata dalla legge in modo più o meno tollerante anche in ragione del regime politico che è al potere in quella nazione. Vi sono del resto vari tipi di velo islamico: quello forse più diffuso è l'hijab, che copre solo i capelli e il collo lasciando il viso scoperto, molto simile al chador che è una vera e propria tunica che ricopre anche il resto del corpo; il niqab è simile al chador, ma copre il viso e lascia scoperti solo gli occhi, mentre il famigerato burqa ne è la versione più integrale, coprendo interamente la figura femminile e lasciando solo una reticella in corrispondenza degli occhi (il burqa era molto diffuso in Afghanistan all'epoca del regime dei Talebani ed è attualmente considerato una forma di grave discriminazione femminile).
È una delle questioni più controverse, dal momento che l'obbligo per le donne di indossare il velo non è propriamente espresso da nessuna delle sure del Corano, ma si deduce da alcuni passi che sono oggetto di varie interpretazioni da parte degli studiosi dell'Islam. In ogni caso, la pratica del velo è ampiamente diffusa in tutti i Paesi islamici e trova una diversa applicazione a seconda della diversa cultura e sensibilità religiosa, venendo tra l'altro sanzionata dalla legge in modo più o meno tollerante anche in ragione del regime politico che è al potere in quella nazione. Vi sono del resto vari tipi di velo islamico: quello forse più diffuso è l'hijab, che copre solo i capelli e il collo lasciando il viso scoperto, molto simile al chador che è una vera e propria tunica che ricopre anche il resto del corpo; il niqab è simile al chador, ma copre il viso e lascia scoperti solo gli occhi, mentre il famigerato burqa ne è la versione più integrale, coprendo interamente la figura femminile e lasciando solo una reticella in corrispondenza degli occhi (il burqa era molto diffuso in Afghanistan all'epoca del regime dei Talebani ed è attualmente considerato una forma di grave discriminazione femminile).
Donne che indossano il burqa, il famigerato velo integrale islamico. Considerato una forma odiosa di discriminazione della donna nel mondo arabo, il burqa era in uso soprattutto in Afghanistan prima dell'intervento americano che ha rovesciato il regime dei Talebani nel 2001, anche se l'abito è ancora diffuso in quel Paese e in alcuni altri dell'area (ad esempio il Pakistan). Alcune nazioni europee in cui vivono immigrati islamici ne hanno proibito l'uso per legge, fra cui la Francia dove la proposta ha sollevato molte polemiche fra i musulmani e i non musulmani, anche in nome della tolleranza religiosa e del rispetto della diversità culturale (la questione è tuttora aperta).
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Va detto che il velo non è sempre vissuto dalle donne musulmane come un'imposizione, ma spesso è frutto di una libera scelta ed espressione della propria appartenenza culturale e dell'osservanza religiosa, per cui le leggi che ne limitano o ne vietano l'uso vengono talvolta condannate come altrettanto intolleranti e discriminatorie (ciò avviene soprattutto nei Paesi occidentali). Attualmente il velo è diffuso in special modo nei Paesi sciiti e in quelli dove il Corano trova una più rigorosa applicazione, anche se viene usato anche nelle nazioni più laiche ed aperte allo stile di vita occidentale come la Turchia; in taluni casi invece indossare il velo significa rifiuto dei modelli culturali dell'Occidente e del mondo moderno, atteggiamento che si riscontra soprattutto in Paesi come l'Iran, l'Egitto e in parte l'Arabia Saudita. Ecco un prospetto sull'attuale diffusione del velo nel mondo arabo:
Matrimonio e adulterio femminile
La shari'a consente all'uomo musulmano di avere più mogli (fino a un massimo di quattro) e di sposare anche donne ebree o cristiane, mentre la donna di fede islamica può avere un solo marito e questi dev'essere musulmano: la poliginia trova però scarsa applicazione nei Paesi arabi e il matrimonio è quasi sempre un'unione tra un uomo e una donna, concepito come un contratto giuridico piuttosto che come un sacramento. Il consenso della sposa è condizione essenziale perché il matrimonio sia valido, tuttavia il marito ha il diritto di ripudiare la moglie qualora il vincolo non sia più ritenuto valido e ciò avviene soprattutto per l'adulterio della sposa, considerato una colpa grave e passibile in molti casi anche di pene assai severe, come la lapidazione. La posizione della donna è comunque subalterna al marito e secondo alcune interpretazioni del Corano l'uomo ha il diritto di punire la moglie qualora lei si mostri troppo ribelle, arrivando anche alle percosse fisiche (nei Paesi islamici non sono infrequenti casi di maltrattamenti di donne da parte di padri o mariti).
Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana condannata alla lapidazione per adulterio nel 2006 e tuttora detenuta in carcere a Tabriz, nell'Azerbaigian orientale. La sua esecuzione è stata più volte rimandata dal governo dell'Iran su pressione dell'opinione pubblica internazionale e per la campagna in suo favore promossa da Amnesty International, l'organizzazione che si occupa delle violazioni dei diritti umani nel mondo. Nonostante le varie mobilitazioni, la donna rischia ancora di essere lapidata e una recente apparizione in un'intervista televisiva non ha fatto cessare le preoccupazioni per la sua vita. Sakineh è solo una delle molte donne oggetto di una legilsazione discriminatoria, che trae origine da pratiche culturali e non è legittimata da alcuna norma coranica. |
Quanto all'adulterio femminile, come detto in molti Paesi arabi è aspramente condannato sul piano religioso e spesso sanzionato con severità dalla legge penale, che prevede pene corporali da infliggere alla donna che se ne renda colpevole (colpi di frusta, scudisciate) e in alcuni casi prescrive la condanna a morte per lapidazione, pratica barbara ma tuttora in uso in alcune zone del mondo. L'Iran è il Paese dove tale pena è più frequentemente applicata contro le donne, come il recente caso di Sakineh Mohammadi Ashtiani testimonia, tuttavia essa è tuttora prevista in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Nigeria, Pakistan, Sudan e Yemen; la lapidazione è stata inoltre reintrodotta nella provincia di Aceh (Indonesia) nel 2009 ed è spesso applicata anche in modo illegale e incontrollato da parte di persone comuni, soprattutto in Somalia. Amnesty International denuncia la diffusione di questa pratica in vaste zone del Medio Oriente e dell'Africa e promuove campagne per sensibilizzare l'opinione pubblica dell'Occidente contro questo obbrobrio.
Poiché il matrimonio è un contratto stretto tra lo sposo e il wali (il "guardiano" della sposa, generalmente il padre o un fratello), in alcune culture islamiche esso viene stipulato tra le famiglie quando i futuri sposi sono ancora bambini e non di rado forzando la volontà dei contraenti, specie della ragazza che è costretta a prendere marito anche senza il proprio consenso. I matrimoni forzati sono abbastanza frequenti in alcuni Paesi arabi e si stanno diffondendo anche in quelli occidentali che ospitano immigrati musulmani, specie nel Regno Unito dove il Ministero degli Esteri ha creato la Forced Marriage Unit (FMU, "Unità per i Matrimoni Forzati") allo scopo di fornire assistenza psicologica e legale alle giovani musulmane costrette a sposarsi contro la loro volontà e perciò vittime di pressioni e soprusi. In alcuni Paesi islamici non è neppure infrequente che le ragazze siano costrette a sposarsi in giovanissima età, con tutti i problemi psicologici e fisici che questa pratica comporta.
Alfabetizzazione e accesso all'istruzione
La subalternità della donna islamica rispetto all'uomo le ha precluso molto spesso l'accesso ai più alti gradi dell'istruzione e in alcuni Paesi alle donne è persino impedito di andare a scuola, anche se va detto che la situazione appare estremamente diversificata: le discriminazioni in tal senso sono più frequenti nei Paesi poveri e arretrati in cui vigono ancora costumi tribali come in Afghanistan, oppure in cui c'è una teocrazia al potere come in Iran, mentre in Paesi più evoluti come la Turchia molte ragazze frequentano l'Università e svolgono non di rado professioni qualificate. In generale, il problema non riguarda tanto l'accesso all'istruzione di primo livello (anche se nei Paesi arabi il livello di alfabetizzazione degli uomini è spesso più elevato di quello delle donne), quanto l'accesso a quella universitaria e specialistica, rispetto al quale le donne subiscono molte discriminazioni e ciò spesso è legato allo stato di quasi segregazione in cui sono costrette a vivere dalla legge. La cosa è particolarmente evidente in Arabia Saudita, dove le donne fino a pochi anni fa non potevano guidare l'automobile (ora è permesso con molte limitazioni) e sono tuttora sottoposte a molti vincoli nel modo di vestire e nelle apparizioni pubbliche, cosa che costituisce un grave ostacolo a una vita sociale pienamente partecipata. Nonostante ciò, molte donne saudite proseguono gli studi e riescono a laurearsi, benché alcune cariche pubbliche e professioni siano loro precluse per legge.
La subalternità della donna islamica rispetto all'uomo le ha precluso molto spesso l'accesso ai più alti gradi dell'istruzione e in alcuni Paesi alle donne è persino impedito di andare a scuola, anche se va detto che la situazione appare estremamente diversificata: le discriminazioni in tal senso sono più frequenti nei Paesi poveri e arretrati in cui vigono ancora costumi tribali come in Afghanistan, oppure in cui c'è una teocrazia al potere come in Iran, mentre in Paesi più evoluti come la Turchia molte ragazze frequentano l'Università e svolgono non di rado professioni qualificate. In generale, il problema non riguarda tanto l'accesso all'istruzione di primo livello (anche se nei Paesi arabi il livello di alfabetizzazione degli uomini è spesso più elevato di quello delle donne), quanto l'accesso a quella universitaria e specialistica, rispetto al quale le donne subiscono molte discriminazioni e ciò spesso è legato allo stato di quasi segregazione in cui sono costrette a vivere dalla legge. La cosa è particolarmente evidente in Arabia Saudita, dove le donne fino a pochi anni fa non potevano guidare l'automobile (ora è permesso con molte limitazioni) e sono tuttora sottoposte a molti vincoli nel modo di vestire e nelle apparizioni pubbliche, cosa che costituisce un grave ostacolo a una vita sociale pienamente partecipata. Nonostante ciò, molte donne saudite proseguono gli studi e riescono a laurearsi, benché alcune cariche pubbliche e professioni siano loro precluse per legge.
Partecipazione politica
Anche riguardo questo delicato aspetto vi sono molte differenze nei vari Paesi islamici, poiché le donne musulmane hanno il diritto di voto quasi ovunque (tranne in Arabia Saudita, dove il suffragio è unicamente maschile), mentre in molti Paesi è loro precluso l'elettorato passivo e dunque non possono essere elette a cariche pubbliche né partecipare pienamente alla vita politica (ciò avviene soprattutto in Arabia Saudita e in Iran, che è una Repubblica Islamica di tipo "teocratico"). Studi recenti hanno evidenziato il ruolo tutt'altro che marginale delle donne nelle proteste di piazza durante la cosiddetta primavera araba del 2011, nonché la loro partecipazione come elettrici nelle consultazioni elettorali che hanno portato a nuovi governi o alla votazione di una nuova Costituzione (specie in Tunisia ed Egitto). In altri Paesi islamici vi sono donne che siedono nei Parlamenti nazionali o che addirittura svolgono un ruolo da leader politiche, come il caso tristemente famoso di Benazir Bhutto che fu Primo Ministro del Pakistan per due volte e fu assassinata nel dic. 2007 in un attentato terroristico, in circostanze rimaste sostanzialmente oscure.
Anche riguardo questo delicato aspetto vi sono molte differenze nei vari Paesi islamici, poiché le donne musulmane hanno il diritto di voto quasi ovunque (tranne in Arabia Saudita, dove il suffragio è unicamente maschile), mentre in molti Paesi è loro precluso l'elettorato passivo e dunque non possono essere elette a cariche pubbliche né partecipare pienamente alla vita politica (ciò avviene soprattutto in Arabia Saudita e in Iran, che è una Repubblica Islamica di tipo "teocratico"). Studi recenti hanno evidenziato il ruolo tutt'altro che marginale delle donne nelle proteste di piazza durante la cosiddetta primavera araba del 2011, nonché la loro partecipazione come elettrici nelle consultazioni elettorali che hanno portato a nuovi governi o alla votazione di una nuova Costituzione (specie in Tunisia ed Egitto). In altri Paesi islamici vi sono donne che siedono nei Parlamenti nazionali o che addirittura svolgono un ruolo da leader politiche, come il caso tristemente famoso di Benazir Bhutto che fu Primo Ministro del Pakistan per due volte e fu assassinata nel dic. 2007 in un attentato terroristico, in circostanze rimaste sostanzialmente oscure.
Benazir Bhutto (1953-2007), la donna politica pakistana che fu Primo Ministro del suo Paese per ben due volte (1988-1990, 1993-1996) e morì assassinata in un attentato il 27 dic. 2007, in circostanze mai chiarite del tutto. Più volte arrestata e perseguitata per il suo impegno politico, la Bhutto è diventata suo malgrado il simbolo della lotta per l'emancipazione delle donne islamiche, spesso relegate in una posizione marginale nei Paesi musulmani ed escluse di fatto dalla piena partecipazione politica. La sua tragica fine ha sollevato molti dubbi sul processo di democratizzazione del Pakistan e ha gettato ombre sul Primo Ministro in carica all'epoca, Pervez Musharraf, in seguito dimissionario. Dal 2008 a capo del Governo pakistano è Asif Ali Zardari, vedovo di Benazir Bhutto. |
Le mutilazioni genitali femminili (MGF)
Si tratta di una pratica tuttora diffusa in molti Paesi del Centro Africa e dell'Asia orientale, che consiste nell'asportazione o nell'alterazione chirurgica di parti degli organi genitali delle bambine, al fine di preservare la loro "purezza" e limitare la loro capacità di provare il piacere sessuale da adulte (talvolta si parla di infibulazione, alludendo in realtà solo ad alcune di queste pratiche). È opportuno chiarire che le mutilazioni genitali femminili (in sigla MGF) non sono giustificate da alcun precetto coranico e non sono quindi da mettere in relazione con la religione islamica, benché tale usanza barbara sia diffusa soprattutto nei Paesi musulmani: essa trae origine da pratiche tribali e costumi tradizionali che non necessariamente sono riconducibili all'Islam, il che spiega anche perché l'area geografica interessata non coincida prefettamente con quella dei Paesi islamici (le MGF sono frequenti soprattutto in Somalia, Sudan, Etiopia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, India, Indonesia). Secondo l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ogni anno circa 2 MLN di bambine e ragazze rischiano di subire questa pratica e sarebbero oltre 135 MLN quelle che hanno già patito una simile mutilazione, almeno secondo un Rapporto stilato nel 2002. Amnesty International denuncia la pratica delle MGF nel mondo e la loro diffusione anche fra alcune comunità di immigrati in Occidente, mentre cerca di sensibilizzare l'opinione pubblica per porre fine a quella che è considerata da molti la più grave forma di discriminazione delle donne, nonché una forma di abuso e di tortura (tale pratica è aspramente condannata dalla legislazione penale di quasi tutti i Paesi occidentali).
9. Islam e Occidente
Gli attuali rapporti tra il mondo islamico e i Paesi occidentali sono delicati e molto complessi, anzitutto per la presenza di molti immigrati di religione musulmana che spesso vivono una difficile integrazione nella società del Paese che li accoglie, inoltre a causa del riesplodere agli inizi del XXI sec. del terrorismo di matrice islamica e del diffondersi di ideologie fondamentaliste, specie dopo i drammatici attentati contro gli USA nel settembre 2001. La "questione islamica" vede pareri contrapposti tanto tra gli immigrati provenienti dai Paesi arabi quanto fra gli stessi occidentali ed è evidente che una delle sfide del mondo attuale riguarderà la progressiva integrazione di questi cittadini nella società occidentale, con tutti i problemi che intevitabilmente ciò comporta.
Riguardo alla questione degli immigrati, è evidente che negli ultimi anni massicci flussi migratori sono partiti dai Paesi arabi verso l'Europa occidentale e gli Stati Uniti, a causa delle difficoltà economiche e del livello di arretratezza sociale che caratterizza la maggior parte delle nazioni islamiche (in cui, come si è visto, la popolazione è in aumento ed è prevalentemente giovane). Le aree di provenienza sono soprattutto il Maghreb, l'Egitto, la Turchia, i vari Paesi del Medio Oriente (in particolare quelli più poveri e sconvolti dalla guerra come Pakistan e Afghanistan) e molte nazioni dell'Africa sub-sahariana, mentre le destinazioni sono principalmente i Paesi dell'UE, gli USA, il Canada e alcuni altri Paesi islamici con una migliore situazione economica. Spesso questi migranti sono anche profughi che scappano da situazioni di guerra o persecuzioni, dunque molti di loro chiedono lo status di rifugiati al Paese che li accoglie: l'Iran ha dato asilo a quasi 1 MLN di profughi afghani dall'inizio degli anni '90, con tutti i drammatici problemi che questa situazione ha provocato. Si teme inoltre che le rivoluzioni della cosiddetta "primavera araba" del 2011 possano suscitare una nuova ondata migratoria, pronta a riversarsi sui Paesi europei nei prossimi anni creando ulteriori tensioni politico-religiose.
La moschea di Roma, il più grande edificio di culto islamico attualmente in Europa. Finanziata da re Faysal dell'Arabia Saudita, la costruzione della moschea venne ultimata nel 1995 e l'edificio fu consacrato il 21 giugno, giorno del solstizio d'estate (il progetto era stato affidato all'architetto Paolo Portoghesi). È sede del Centro Culturale Islamico d'Italia. Le moschee nel mondo occidentale sono spesso oggetto di dibattito per la presenza degli imam (gli studiosi del Corano che guidano la preghiera), spesso impegnati politicamente e talvolta accusati a torto di diffondere ideologie fondamentaliste, se non di fiancheggiare apertamente il terrorismo di matrice islamica. Tali pregiudizi si sono ovviamente rafforzati dopo gli attentati del 2001.
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Particolarmente massiccia la presenza di cittadini di religione islamica nell'Unione Europea, la maggior parte dei quali è costituita da immigrati (spesso di seconda o terza generazione, ovvero figli e nipoti di immigrati nati nei Paesi occidentali) e in minima parte da cittadini europei di origine musulmana o neoconvertiti. L'immigrazione islamica è notevolmente aumentata negli ultimi 20-30 anni e i musulmani in UE si sono aggiunti a quelli già presenti in alcuni Paesi dell'Europa orientale e meridionale, specie in Stati come l'Albania, la Serbia e la Bosnia-Erzegovina che furono dominati dagli Ottomani nei secc. XV-XVII. È estremamente difficile stimare con esattezza il numero attuale dei musulmani nei Paesi europei, dato che in alcune nazioni non esistono censimenti ufficiali e poiché molti sono immigrati clandestini, tuttavia secondo proiezioni attendibili gli islamici attualmente presenti nell'UE sarebbero 15-18 MLN, a fronte di circa 40 MLN di musulmani residenti in tutta Europa. Ecco i dati relativi ad alcuni tra i principali Paesi dell'Unione Europea, con le aree di provenienza degli immigrati islamici (fonte: L'Islam e l'Unione Europea. Cosa ci riserva il futuro?, studio del Parlamento Europeo del 2007):
Austria Belgio Bulgaria Danimarca Francia Germania Grecia Italia Paesi Bassi Regno Unito Spagna Svezia |
N° islamici
338.000 450.000 (st.) 950.000 210.000 4.000.000 3.000.000 130.000 (st.) 1.000.000 945.000 1.600.000 1.000.000 350.000 (st.) |
% pop. tot.
4,3 4 12 3,7 7 3.8 1,2 1,5 5,8 3 1,8 2 |
Aree e Paesi di provenienza
Turchia, Bosnia-Erzegovina Marocco, Turchia, Algeria, Tunisia Turchia Turchia, Pakistan, Marocco, Iran, Iraq, Somalia Maghreb (Algeria), Turchia, Africa sub-sahariana Turchia Turchia e altri Paesi Maghreb (Marocco) Marocco, Turchia, rifugiati da Iran, Iraq India, Pakistan (ex-colonie) Medio Oriente, Pakistan, Africa sub-sahariana Iran, Iraq, Turchia, Libano, Kosovo |
La presenza degli immigrati di fede islamica in Europa occidentale, particolarmente significativa in Paesi come Francia, Germania e Regno Unito, ha causato ovviamente seri problemi di integrazione e convivenza tra cittadini di religioni e culture diverse, destinati ad accentuarsi dopo gli attentati terroristici di matrice fondamentalista dell'11 sett. 2001. A ciò si aggiunge il fatto che fra gli immigrati musulmani il tasso di natalità è generalmente più alto, a causa di abitudini culturali e usanze tipiche dei Paesi di provenienza, dunque la popolazione islamica in Occidente è destinata ad aumentare e alcune proiezioni ipotizzano che nel 2030 i musulmani in Europa potrebbero arrivare a 60 MLN (attualmente sono circa 40 MLN). Ciò ha suscitato molti allarmi nell'opinione pubblica e fra gli stessi studiosi ed esponenti politici, al punto che alcuni hanno parlato del rischio di una "Eurabia" (una futura Europa dominata dall'immigrazione islamica, quasi un'appendice dei Paesi del Medio Oriente) e in generale si è diffuso un sentimento di diffidenza, se non proprio di odio etnico-religioso verso i musulmani, che alcuni hanno definito "islamofobia" (in taluni casi ciò si è tradotto in provvedimenti di legge per frenare tale immigrazione, oppure per discriminare in qualche modo i cittadini di religione islamica). Prendiamo in esame i principali elementi di discussione e di attrito nel processo di integrazione di questi cittadini nelle società occidentali, tenendo presente che la questione è delicata e fonte di aspre polemiche politiche.
Alimentazione e macellazione rituale
L'Islam prescrive rigorosi obblighi alimentari analoghi a quelli dell'Ebraismo, che distinguono tra il "cibo permesso" (halal, ovvero i quadrupedi ruminanti e con l'unghia fessa come il kasher degli Ebrei) e il cibo proibito, in quanto proveniente da animali considerati impuri (come il maiale e il cavallo, per fare gli esempi più noti). La religione islamica impone che l'animale venga macellato da un musulmano secondo un rituale piuttosto complesso e senza lo stordimento preventivo, che invece è obbligatorio per legge in quasi tutti i Paesi occidentali, lasciando inoltre che la bestia uccisa si dissangui lentamente in quanto il sangue è considerata parte impura non commestibile. Quest'ultimo punto provoca non pochi attriti tra i fedeli musulmani e la sensibilità animalista di una parte dell'opinione pubblica occidentale, per cui la pratica della macellazione rituale in alcuni Paesi dell'UE è stata messa al bando perché considerata inumana e causa di inutili sofferenze agli animali, mentre in altri casi è stata consentita da alcune deroghe legislative. Altra questione delicata è la presenza di cibo halal per i musulmani nelle mense pubbliche e statali (scuole, ospedali, carceri...), attualmente non garantita in nessun Paese dell'UE e dunque fonte di potenziale discriminazione religiosa, dal momento che ciò limita di fatto la libertà di culto dei fedeli islamici.
Il digiuno rituale
Altro punto sensibile è rappresentato dall'obbligo per i musulmani di osservare il digiuno del Ramadan, ovvero il nono mese del calendario islamico che prescrive di non ingerire acqua e cibo dall'alba al tramonto per 29-30 giorni, oltre al divieto di avere rapporti sessuali e di fumare (tale obbligo è uno dei cosiddetti "cinque pilastri della fede"). L'osservanza del digiuno rituale pone seri problemi soprattutto ai musulmani lavoratori, poiché è ovvio che il divieto di alimentarsi ne limita fortemente la capacità produttiva e data la relativa lunghezza del periodo è impossibile garantire loro di astenersi dalle prestazioni d'opera, o quanto meno di limitare l'orario di lavoro durante l'intero mese del Ramadan. In alcuni Paesi sono previste eccezioni solo il giorno della fine del digiuno (Aid el Fitr) che coincide con una festività islamica, come in Lussemburgo dove gli studenti delle scuole pubbliche sono esentati dalla frequenza, o in Belgio dove hanno diritto a una breve vacanza.
Il velo femminile
Si tratta di una delle questioni più controverse e fonte di aspre polemiche, in quanto la pratica del velo per le donne si scontra con la legislazione civile e penale dei Paesi occidentali in cui è proibito coprire il volto impedendo l'identificazione personale. Ciò comporta in molti casi il divieto per le donne musulmane di usare il cosiddetto "velo integrale", come il burqa o il niqab, mentre è generalmente accettato l'hijab, il velo che copre i capelli e il collo lasciando il volto scoperto: l'uso di quest'ultimo è di solito consentito nelle scuole pubbliche e in altre occasioni ufficiali, ma vi sono Paesi in cui la questione è caldamente dibattuta e sono state emanate leggi volte a limitare, se non a proibire del tutto il velo islamico come simbolo religioso (tra questi la Francia, dove nel 2004 una legge ha appunto messo il velo al bando nelle scuole). In Danimarca è stato proposto di vietare l'hijab nelle scuole pubbliche, in quanto sarebbe di ostacolo alla piena integrazione delle ragazze musulmane nella società danese. In Italia il velo è generalmente ammesso e le donne islamiche possono indossarlo anche nelle foto per i documenti d'identità, purché sia visibile il volto. Nei Paesi Bassi l'accettazione del velo è parte del processo di integrazione e l'eventuale divieto verrebbe visto come discriminazione religiosa. Nel Regno Unito vi è una politica ampiamente tollerante in materia (dato anche l'alto numero di cittadini immigrati di origine islamica) e nel 2003 è stato consentito alle donne musulmane impiegate nella Polizia Municipale di indossare il velo durante l'orario di lavoro.
Luoghi di culto e insegnamento dell'Islam
Le moschee come luogo di culto islamico non sono ugualmente diffuse in tutti i Paesi dell'UE, anche in ragione del numero di immigrati di fede musulmana presenti sul territorio, per cui anche la possibilità di praticare l'insegnamento del Corano e della legge islamica nelle scuole pubbliche o private è più o meno garantita nelle varie nazioni del continente. In Italia, ad esempio, vi sono appena tre moschee (a Milano, Roma e Catania) e circa 200 luoghi di culto legati a centri culturali islamici, mentre è impossibile determinare quanti siano attualmente gli imam (si stima che il numero corrisponda a quello dei luoghi di culto); situazione ben diversa in Germania, dove esistono circa 2.500 moschee e almeno altrettanti imam a tempo pieno, mentre l'Islam viene insegnato in numerose scuole pubbliche laddove vi sia un certo numero di studenti musulmani fissato per legge. Nel Regno Unito vi sono oltre 500 moschee ufficiali e almeno 1000 imam, ma l'Islam trova spazio esiguo nell'insegnamento religioso a scuola (dove esso non è confessionale e dove comunque l'orientamento è prevalentemente cristiano). In Francia ci sono molti luoghi di culto e poche moschee, mentre gli imam sono circa 3.500 e l'insegnamento religioso ha scarso peso nell'ordinamento scolastico (in conformità all'orientamento laico della Repubblica francese).
10. Il conflitto arabo-israeliano
Gli aspri rapporti che attualmente intercorrono tra gli Stati Arabi e Israele non risalgono all'epoca antica, in cui pure la Palestina e Gerusalemme caddero sotto il dominio islamico, ma hanno avuto origine nel XIX sec. quando il movimento del sionismo iniziò a teorizzare la necessità per il popolo ebraico di tornare nella propria terra natale e crearvi uno Stato indipendente, favorendo un massiccio flusso di migranti ebrei diretti in Palestina e provenienti soprattutto dall'Europa e dalla Russia (»» STORIA DEL POPOLO EBRAICO). All'epoca la Palestina faceva parte dell'Impero Ottomano e l'afflusso di molti immigrati ebrei creò non poche tensioni con le popolazioni arabe che vivevano in quei territori, destinate a trascinarsi sino allo scoppio della I Guerra Mondiale. Nel 1918 la Palestina divenne mandato britannico e gli attriti tra migranti ebrei e Palestinesi proseguirono, specie per la volontà degli Inglesi di favorire la soluzione alla "questione ebraica" con la creazione di uno Stato, cosa che avvenne nel 1948 con la decisione dell'ONU di creare lo Stato di Israele: inizialmente il piano prevedeva una "spartizione" dei territori tra Israele e uno Stato palestinese che avrebbe dovuto coesistere con quello ebraico, anche se tale proposito venne subito avversato dagli stessi Palestinesi e da tutti gli Stati Arabi circonvicini, che non accettavano la nascita del nuovo Stato né sul piano religioso né su quello politico. In seguito il piano dell'ONU fallì per l'attacco militare che Israele subì da parte di Egitto, Siria e altri Paesi Arabi (1948-49, prima guerra arabo-israeliana), con la successiva vittoria degli Israeliani e il consolidamento dei confini del nuovo Stato Ebraico, mentre non si formò alcuno stato palestinese e molti arabi che vivevano in Palestina dovettero rifugiarsi nei Paesi vicini (si parla di una vera e propria diaspora dei Palestinesi in Egitto, Libano, Giordania). Si aprì allora la spinosa "questione palestinese" relativa alla necessità di dare una patria e uno Stato a un popolo unito da una precisa identità religiosa e culturale, che tuttavia non ha mai potuto godere di autonomia politica in quanto soggetto prima al dominio turco, poi (dal 1948) a quello israeliano mai accettato.
Il conflitto tra Israele e gli altri Paesi islamici si aggravò in seguito alla Guerra dei Sei Giorni (1967), quando Israele attaccò in modo preventivo l'Egitto e la Siria occupando i territori della Cisgiordania, il Sinai e la striscia di Gaza (ciò diede inizio a una serie di rivendicazioni da parte dei Palestinesi appoggiati dai Paesi Arabi e causò inoltre molte critiche internazionali alla condotta militare dello Stato Ebraico, accusato di aver occupato territori su cui non aveva diritti). Nel 1973 Egitto e Siria tentarono di riprendere i territori perduti (Guerra del Kippur), ma la potente controffensiva israeliana neutralizzò questo tentativo e solo l'intervento dell'ONU portò a un cessate il fuoco, per poi intavolare trattative di pace tra i contendenti. La pace separata tra Egitto e Israele venne siglata nel 1979 con l'intervento degli USA e grazie all'impegno del presidente egiziano Sadat, portando alla restituzione del Sinai all'Egitto e alla fine dei conflitti diretti tra Israele e Paesi Arabi, anche se restava sostanzialmente insoluta la questione del popolo palestinese. Il presidente Sadat pagò con la vita il suo impegno per la pace, cadendo vittima di un attentato terroristico nel 1981 a causa della sua politica giudicata troppo filo-israeliana.
Il presidente egiziano Anwār as-Sādāt (1918-1981). Succeduto nel 1970 a Nasser, il fondatore dell'Egitto moderno col quale aveva collaborato, Sadat fu protagonista della Guerra del Kippur (1973) con cui venne "lavata l'onta" della sconfitta del 1967, anche se in seguito si adoperò per il dialogo con Israele fino a firmare la pace separata con lo Stato Ebraico negli accordi di Camp David (1979), sotto gli auspici dell'amministrazione Carter. In base al trattato, l'Egitto ottenne il ritiro completo delle forze di occupazione israeliane dal Sinai, mentre il canale di Suez (già riaperto nel 1975) divenne nuovamente percorribile senza pericoli. Sadat ricevette dure critiche dal mondo arabo per la sua politica filo-occidentale e filo-israeliana, mentre il mondo occidentale paradossalmente lo accusava di governare in modo autoritario e di reprimere troppo duramente l'opposizione interna. Venne assassinato il 6 ott. 1981 in un attentato dai contorni oscuri e gli succedette Hosni Mubarak. Nel 1978 aveva ricevuto il Premio Nobel per la pace. |
Dopo la fine delle guerre arabo-israeliane, il popolo palestinese proseguì le proprie rivendicazioni territoriali e trovò nell'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) l'organismo politico attorno a cui si coagulò il movimento di opposizione a Israele, specie grazie alla figura di Yasser Arafat che fu il fondatore e il leader storico di al-Fatah, il partito politico a capo dell'OLP. Nel dic. 1987 nei territori arabi occupati (Gaza, Cisgiordania) scoppiò la cosiddetta intifada, ovvero una estesa ribellione dei Palestinesi contro Israele con lancio di pietre, azioni di disobbedienza civile e scioperi che focalizzarono l'attenzione del mondo sulla questione dell'indipendenza della Palestina. Negli anni seguenti ci fu una serie di attentati e attacchi terroristici su suolo israeliano da parte di movimenti estremisti, che convinsero una parte dell'opinione pubblica di Israele della necessità di aprire un dialogo con i Palestinesi e arrivare a un compromesso in grado di assicurare la sicurezza dello Stato Ebraico: si arrivò così agli accordi di Oslo del 1993, in base ai quali Israele riconobbe l'OLP di Arafat come interlocutore politico e accettò la formazione dell'ANP (Autorità Nazionale Palestinese), embrione di un futuro Stato palestinese con sede a Gaza e parte della Cisgiordania. In seguito agli accordi, Israele ha accettato di sgombrare i propri insediamenti coloniali a Gaza (a partire dal 2005) e la cosa ha creato non poche lacerazioni interne allo Stato Ebraico, per l'opposizione a una politica giudicata troppo filo-palestinese e potenzialmente pericolosa. L'ANP ha giurisdizione civile sui territori assegnati e compiti di polizia, mentre Israele conserva il diritto di intervenire militarmente qualora vi siano minacce alla sua sicurezza.
Una storica immagine che ritrae la stretta di mano tra Yitzhak Rabin, primo ministro israeliano, e Yasser Arafat, capo dell'OLP, in seguito agli accordi sottoscritti a Oslo nel 1993 (alla presenza del presidente americano Bill Clinton). Gli accordi videro la nascita dell'ANP come embrione del futuro Stato palestinese, che finora non ha comunque ancora visto la luce ufficialmente. In seguito il processo di pace ha vissuto più di una battuta d'arresto, specie in seguito alla "seconda intifada" del 2000 e agli attacchi terroristici promossi da Hamas contro Israele. |
Nel 2006 le elezioni interne all'ANP hanno visto l'affermazione del partito estremista di Hamas, che non solo ha rifiutato di riconoscere il diritto all'esistenza di Israele, ma ha di fatto favorito una serie di attacchi terroristici e militari contro le città ebraiche, cui le forze armate di Israele hanno reagito con molta durezza (la cosa ha suscitato non poche polemiche da parte internazionale). I momenti di maggior tensione si sono vissuti nel 2008 e soprattutto nel 2012, quando una serie di attacchi missilistici partiti dalla striscia di Gaza contro alcune città israeliane ha portato a una dura reazione militare da parte di Israele, fino alla proclamazione di una fragile tregua. Nel novembre 2012, con 138 voti favorevoli (tra cui quello dell'Italia), 9 contrari e 41 astenuti, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto l'Autorità Nazionale Palestinese come Stato osservatore non membro dell'ONU, passo che sembra preludere a un prossimo riconoscimento della Palestina come Stato indipendente e sovrano. La decisione ha suscitato aspre polemiche e la ferma opposizione di Israele e degli USA, storici alleati dello Stato Ebraico. Sul fronte opposto sopravvivono atteggiamenti fortemente anti-israeliani e in molti Paesi Arabi vi sono posizioni politiche ostili allo Stato Ebraico, la cui legittimità (e quindi il diritto all'esistenza) non viene riconosciuta e la cui completa distruzione viene auspicata da vari esponenti politici, tra cui il presidente iraniano Ahmadinejad.
Il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, in carica dal 2005 al 2013 come Presidente della Repubblica Islamica (è stato rieletto per un secondo mandato nel 2009, tra le aspre polemiche dell'opposizione che ha denunciato brogli). L'uomo politico è noto per le sue dure posizioni anti-israeliane, che lo hanno portato in più di un'occasione pubblica non solo a teorizzare la necessità della distruzione dello Stato Ebraico, ma persino a negare la realtà dell'olocausto ("shoah"). Recentemente ha espresso tali posizioni politiche anche all'Assemblea Generale dell'ONU a New York, suscitando la ferma riprovazione della delegazione israeliana, di quella statunitense e di tutte quelle del mondo occidentale, Italia compresa. Dopo le elezioni del 2013 è stato sostituito dal più moderato Hassan Rouhani, che ha avviato un dialogo con l'Occidente sulla questione nucleare e sta tentando di portare il Paese verso la democrazia.
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